A cura della Fondazione Milano Policroma
Testo di Riccardo Tammaro
Nello scorso articolo avevamo percorso la via Campazzino fino alla cascina omonima, sita al civico 90; avevo inoltre indicato che, poco prima dell’ingresso della cascina, sulla destra, si diparte un sentiero che porta alla Cascina Campazzo; percorriamo allora idealmente (e se volete anche realmente) questo bel sentiero che diventa presto un viale alberato e dirigiamoci verso la Cascina Campazzo, più nota negli ultimi anni per le vicende legate alla sua proprietà, che per le sue caratteristiche storiche, artistiche ed architettoniche.
Iniziando dall’aspetto storico, possiamo dire che come noto nella parte meridionsle dell’attuale città di Milano (riconducibile come più volte detto a molte e diverse proprietà nel corso dei secoli) le coltivazioni iniziarono nel tardo ‘200 ad opera dei Cistercensi ell’Abbazia di Chiaravalle, con la bonifica delle paludi e l’invenzione delle marcite, conseguenza della creazione di una fitta rete irrigua che consentiva la disponibilità di abbondante foraggio; questo fatto favorì lo sviluppo dell’allevamento bovino, portando alla costruzione di cascine con la tipica struttura lombarda a corte chiusa che raccoglieva tutte le funzioni della vita produttiva, sociale e religiosa.
Ecco, la Cascina Campazzo si inserisce a pieno titolo in questo filone: è infatti incentrata a tutt’oggi sull’allevamento di bovini e contiene al suo interno una cappella sacra..
L?origine della cascina risale almeno al Seicento; non vi è poi dubbio sull’etimo del suo nome (rifacentesi ad un “campaccio”, nome con cui la cascina compare sulla carta del Claricio del 1600), resta semmai la curiosità del perché di quel peggiorativo (forse non rendeva a sufficienza?) e di chi l’abbia attribuito. Significativo è pure il fatto che su una cartina del 1888 già compaia il sentiero sopra citato, a testimonianza di un reticolo di corsi d’acqua e sentieri consolidato nel tempo.
Quanto alla struttura architettonica del complesso, come detto essa è a corte quadrata, orientata di 45° a sud-est, dove si trova l’ingresso, il lato sulla destra entrando è adibito ad abitazione da parte della famigila di fittavoli che se ne prende cura; il lato sud (dove si trova l’ingresso), probabilmente adibito un tempo a casa dei salariati, è stato ora riconvertito ad uso culturale (su cui tornermo nel prossimo articolo) ed ospita la cappella (di cui dirò più avanti); il lato sulla sinistra, al di là del’ampia aia, è adibito a stalla e nel mezzo, a nord dell’aia, sorge un’altra costruzione rurale, dietro cui si trovani altri ambienti principalmente di disimpegno..
Vale poi la pena di ricordare che, a fianco delle abitazioni, il complesso comprende un forno (di recente riattato) che veniva un tempo alimentato con la legna raccolta durante la stagione autunnale e invernale. Il forno a legna cuoceva principalmente il pane garantendo l’autosufficienza di tutta la comunità della cascina, costituita da molte famiglie. Inoltre veniva utilizzato per la modellazione o lavorazione termica degli attrezzi da lavoro: ad esempio i manici delle pale, le forche, e le zappe venivano resi più resistenti bagnandoli con l’acqua e asciugandoli nel forno.
Dal punto di vista artistico la cascina Campazzo, oltre ad avere interessanti edifici, alcuni dei quali meriterebbero di essere recuperati e valorizzati, e che a tutt’oggi concedono scorci molto suggestivi di vita agreste, ospita al suo interno l'antico Oratorio di Sant'Ignazio, eretto nel 1802 da Antonio Luigi De Carli, parroco di San Giorgio in Milano, "scrittore, oratore, teologo" (come recita una lapide in loco), e se ne avvale anche per organizzare frequenti momenti culturali.
Ma del presente e del futuro di questa cascina, collegato al Parco del Ticinello, parleremo nel prossimo articolo.